La grande Unicredit non può chiudere le porte agli stranieri. Il titolo dell’editoriale scritto nel 2010 per “Nordesteuropa” sintetizza efficacemente il pensiero dell’avvocato Massimo Malvestio su uno dei grandi casi che in quell’anno fece discutere l’opinione pubblica: l’ingresso del fondo sovrano libico LIA (Lybian investment Authority) nell’azionariato della banca, anche a fronte della partecipazione nel suo capitale di istituti e casse di risparmio italiane.
Tra questi anche importanti realtà del Veneto, regione di provenienza dell’avvocato che nel 2014 si è trasferito a Malta per guidare Praude Asset Management Limited. Fondazioni come CariVerona e Cassamarca su cui si concentra l’attenzione di Massimo Malvestio nell’editoriale: proprio la “fondamentale importanza” di Unicredit “per l’economia nazionale e di più ancora per quella veneta dove ha ereditato la storia centenaria della Casse di Risparmio di Verona, Vicenza Belluno oltre a quella di Treviso” avrebbe potuto fornire “una spiegazione plausibile, se non convincente” al fatto che entrambe “abbiano continuato a mantenere la gran parte del loro patrimonio concentrata nell’investimento in azioni Unicredit”.
I numeri infatti nei due anni precedenti sembravano tuttavia imporre una riflessione urgente: “Per l’esercizio 2008 l’Unicredit non ha distribuito nessun dividendo in contanti e anche il dividendo 2009 è stato di poco più di un decimo del dividendo 2007. Un trauma per entrambe le fondazioni ed ancor maggiore per Treviso che aveva assunto, confidando in sorti sempre magnifiche e progressive, impegni novantanovennali con l’università di Padova”.
E qui la prima importante considerazione: “Le fondazioni dovrebbero avere, per legge, una politica di investimento volta alla prudente conservazione del patrimonio e quindi, attraverso un altrettanto prudente diversificazione dei rischi e delle fonti di entrata, garantire un flusso costante di redditi da impiegare nel territorio”. Basta guardare a quanto successo in quegli anni: “Quando a marzo 2009, nel bel mezzo della crisi che ha investito i mercati mondiali, l’Unicredit si è trovato nella condizione di dover chiedere il sostegno dei propri azionisti, le fondazioni socie si trovavano ad affrontare l’emergenza. La fondazione di Verona dopo avere annunciato al mercato che avrebbe partecipato alla sottoscrizione degli strumenti subordinati ibridi emessi da Unicredit per rafforzare il patrimonio di vigilanza improvvisamente si tirò indietro e non ritenne neppure di doversi diffondere in spiegazioni”.
Le conseguenze dunque secondo Massimo Malvestio avrebbero potuto essere “assai gravi” se i libici non fossero arrivati a sostituire la fondazione di Verona. Difficile poi pensare “che si possa avere una forte presenza internazionale senza aprire l’azionariato ad investitori esteri”: il prezzo da pagare è stato “che i diritti di voto della Central Bank of Lybia in Unicredit sono oggi uguali a quelli della fondazione di Verona che un tempo era solitaria primo azionista” ma d’altra parte “le Casse di risparmio di Verona e di Treviso erano due banche splendide e l’idea di integrarle in una realtà ben più ampia aveva senso soltanto in prospettiva della creazione di un campione nazionale che operasse su scala globale”.
E se “è vero che avere due investitori arabi come primi azionisti di quelle che un tempo erano le nostre casse di risparmio deve dar da pensare”, lo è altrettanto constatare che “questi investitori rafforzano la stabilità della banca essendo dotati, a differenza delle fondazioni, di ingenti risorse per sostenerla”. E a fronte di questa situazione “ci si deve chiedere se per le fondazioni la perdita di patrimonio e di peso nella banca non sia altro che il frutto, giunto a maturazione, di scelte a suo tempo prese nel consenso quasi generale”: questo l’invito con cui Massimo Malvestio chiudeva nel 2010 il suo editoriale, ripubblicato oggi da “VeneziePost”.
Per maggiori informazioni:
https://www.veneziepost.it/massimo-malvestio-malta-la-grande-unicredit-non-puo-chiudere-le-porte-agli-stranieri/