Il focus di Giovanni Lo Storto sul futuro del mondo del lavoro e dell’educazione per Il Sole 24 Ore
Mai come in questa fase, l’università ha il dovere di riflettere su quale sia il ruolo del sapere. Oggi che il ritmo imposto alla competizione dall’economia della conoscenza sembra chiederci solo di anticipare ciò che sta per chiedere il mondo del lavoro e di cogliere subito ogni opportunità, non possiamo smettere di pensare, con attenzione e tutto il tempo necessario, a cosa si debba intendere per sapienza, a come meglio organizzare la sua produzione e trasmissione, ai modelli che la fondano. Il ministro Giannini, nell’inaugurare la Scuola per le Politiche Pubbliche 2015, ha dettato la linea: coniugare teoria e pratica, risolvendo la dicotomia che ancora connota molti sistemi formativi. E quello che serve. È il momento di puntare, con decisione, a conciliare il rigore teorico con la sua applicazione concreta, il sapere e il saper fare, ponendoli in una relazione virtuosa in cui l’uno rafforza e riempie di senso l’altro.
Le istituzioni formative del Paese, e l’università in particolare, devono sapersi rinnovare ed essere all’altezza della responsabilità di preparare cittadini socialmente responsabili e capaci di vivere nel loro tempo. Un obiettivo complesso, questo, che richiede innanzitutto la capacità di infondere nei nostri giovani l’attitudine a lasciarsi trasformare dal cambiamento restandone artefici, attori consapevoli in una dialettica aperta e critica al tempo stesso. Per dirla con Edgar Morin, dobbiamo “iniziare i nostri ragazzi alla lucidità”, al “pensiero complesso”, a quella “ecologia dell’azione” che significa pensiero critico, visione strategica e flessibilità. Un pensiero che si nutre di sapere e di saper fare ma che è anche connotato da un preciso “modo di essere”.
Per questo è necessario recuperare entrambe le dimensioni dell’educazione, sia quella knowledge based, che ha caratterizzato da sempre inostri sistemi educativi, sia quella skills based, di stampo anglosassone. Va immaginata una coesistenza organizzata delle due dimensioni, che muove dal sapere ma arriva all’azione, in una sovrapposizione temporale che permette a entrambe le sfere una sedimentazione solida eppure aperta alla trasformazione. Ecco perché la crescente integrazione tra formazione e lavoro dovrebbe diventare una pratica organizzata diffusa. Un sistema che preveda l'”adozione” dei nostri migliori studenti universitari da parte di imprese e istituzioni, così da metterli alla prova su quella che sarà l’arena del loro domani. Grazie a questa integrazione dovrebbe essere possibile, ad esempio, per un giovane che studia gestione d’impresa, lavorare nel magazzino di un’azienda internazionale, per capire come funziona un’organizzazione, osservarne gli atomi che la costruiscono, permettergli di toccare con mano, di sviluppare sensibilità e spirito di osservazione, di allenarlo a essere un manager più responsabile e consapevole.
Nel suo ultimo scritto – La società a costo marginale zero – Jeremy Rifkin sottolinea il ruolo centrale, per l’economia del futuro, del service learning, un volontariato didattico a favore della comunità che combina l’attività di istruzione formale con l’impegno nella società civile: un modello consolidato che oggi negli Stati Uniti ha dimensioni imponenti e coinvolge ogni livello formativo.
Attorno a questo concetto si fondano esperienze importanti, in qualche caso già presenti anche in Italia, che consentono, per fare un altro esempio, a uno studente di giurisprudenza di lavorare in un esercizio commerciale sottratto alla criminalità organizzata, così da dare spessore alle pagine dei libri che sta studiando, innamorandosi di quelle parole che presto non saranno più solo segni, ma volti, storie con un’anima, ragioni, ideali. Così che anche le norme, esattamente come gli ideali, smettano di essere astratte e si trasformino invece in un concretissimo trampolino verso nuove idee, proposte, determinazioni.
E così che il rapporto con il mondo diventa curioso, profondo, serio. E così che si sviluppa l’attitudine ad apprendere costantemente, a leggere il contesto da più punti di vista, a lavorare con gli altri e per gli altri, a cavalcare con responsabilità e rigore ogni nuova sfida.
FONTE: Il Sole 24 Ore
AUTORE: Giovanni Lo Storto