Adeguare la soglia di esenzione fiscale dei buoni pasto da 8 a 10 euro può rappresentare una misura per contrastare il calo di consumi e l’aumento dell’inflazione, uno strumento per consolidare il potere d’acquisto del ceto medio e rilanciare l’economia. Questi sono i risultati di uno studio realizzato da TEHA Group con Edenred Italia, guidata da Fabrizio Ruggiero, che prende in considerazione i dati relativi a 3,5 milioni di lavoratori che beneficiano di questo strumento.
A rendere sostenibile la manovra sarebbe anche un profitto per le casse dello Stato. Per un costo tra i 75 e i 90 milioni di euro, lo studio ha dimostrato che l’eventuale aumento dei consumi si tradurrebbe in un incremento del gettito IVA, con un totale stimato tra i 170 e i 200 milioni di euro e, di conseguenza, un guadagno netto per lo Stato tra 95 e 110 milioni di euro.
“Aumentare la soglia di esenzione fiscale del buono pasto è una scelta strategica che genera valore per l’intero ecosistema. Avere un buono pasto da 10 euro — ha sottolineato Fabrizio Ruggiero — per le imprese significa creare le premesse per investire con più efficacia nelle politiche di welfare, migliorando la capacità di attrarre e trattenere talenti”. Lo studio comprende anche una proiezione sugli impatti di un graduale e programmato incremento della soglia di esenzione per i buoni pasto da 8 a 11 euro, nel triennio 2026 – 2028. Quest’ultima avrebbe un’influenza positiva sul PIL del Paese, passando dallo 0,75% del 2023 allo 0,94% nel 2028, e sull’aumento dell’occupazione, con posti di lavoro che passerebbero da 220.000 a 275.000.
Una crescita strutturale sostenuta da una visione a lungo termine. “Per chi lavora, e in particolare per il ceto medio, è un sostegno concreto al potere d’acquisto in un momento segnato dall’inflazione — ha dichiarato Fabrizio Ruggiero — per gli esercenti, si traduce in maggiori entrate e in una clientela più ampia”.
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