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Crisi addio: ricominciamo a crescere e in fretta

Brasile, Australi, India e Cina crescono a tassi da boom economico. Questi campioni della competizione globale obbligano le nostre imprese ad accelerare il consolidamento e la riorganizzazione.

La buona notizia è che la congiuntura sembra riprendere e l’Italia tiene il passo degli altri paesi europei. Il nostro tessuto sociale e produttivo ha dimostrato una buona tenuta grazie a tre reti di salvataggio: innanzitutto lo scarso indebitamento delle famiglie (all’inizio della crisi era pari al 65 per cento del reddito disponibile, contro il 105 per cento in Germania) e l’elevata propensione al risparmio hanno sostenuto il livello di consumi. Inoltre il sistema di welfare pubblico ha continuato a erogare i servizi essenziali e ha permesso il mantenimento di una quota del reddito e del posto di lavoro per diverse categorie di lavoratori, con la conseguenza che a oggi il tasso di disoccupazione dell’Italia è il più basso tra quelli dell’Europa occidentale. Infine il settore manifatturiero che, nonostante la caduta della produzione industriale, è riuscito a limitare la perdita di quote sul mercato internazionale.
Tuttavia, è anche vero che la nuova ripresa segue un periodo di profonda recessione e di calo strutturale della domanda. Il pil italiano è diminuito dall’inizio del 2008 alla metà del 2009 di quasi 6 punti percentuali. Secondo la Confindustria, ci vorranno almeno 4 anni per riguadagnare i livelli precrisi, più che per tutte le altre principali economie industrializzate. L’effetto è che molte imprese stanno riducendo in modo permanente la capacità produttiva e il lento ma costante incremento del tasso di disoccupazione ne è l’evidente conseguenza.
Per questa ragione è essenziale che il nostro Paese riprenda a crescere e più rapidamente di quanto non facesse prima della crisi. Le economie di nazioni come Brasile, Australia, India e Cina crescono a tassi da boom economico e sono i campioni di una competizione globale che ha solo rallentato ma che continua a obbligare le nostre imprese ad accelerare il consolidamento e la riorganizzazione che avevano già in corso. È dunque essenziale che gli investimenti del settore produttivo (-15,4 per cento tra l’estate del 2008 e quella del 2009) riprendano a crescere.
L’Italia può e deve esprimere il proprio valore nelle nuove tecnologie, nella ricerca e sviluppo, nel capitale umano. Ha bisogno di essere presente sui mercati internazionali e di diventare un Paese attraente per gli investimenti esteri, una delle fonti chiave per le risorse di un’economia. La ripresa non potrà infatti contare troppo sul settore pubblico. Il debito accumulato dai governi come conseguenza dei conti pubblici e il livello colossale del debito italiano obbliga a un inflessibile rigore nel controllo della spesa.
Nella difficile partita fra luoghi di produzione da cui emergerà la geografia dell’economia globale nei prossimi anni, l’Italia rischia di perdere, se non affronta quei nodi strutturali che erano alla base del lento passo della crescita precrisi. Questi nodi sono infatti anche alla base della scarsa attrattività dell’Italia per gli investimenti esteri, una delle metriche principali della buona salute di un’economia. Fra il 2003 e il 2008 abbiamo attratto solo otto nuovi progetti di investimento per milione di abitanti contro 23,1 della media europea. 7
La strada delle riforme strutturali, dall’amministrazione pubblica al mercato del lavoro, in parte già intrapresa dal governo, è inevitabile se vogliamo raggiungere il duplice obiettivo di maggiori investimenti esteri nel nostro Paese e di una crescita più rapida. E soprattutto è necessario offrire stabilità del quadro istituzionale e delle regole: gli investitori stranieri chiedono regole chiare e certe, continuità di programmi e di strategie di sviluppo industriale. L’incertezza è invece un buon modo per farli scappare altrove.

FONTE: Panorama
AUTORE: Giuseppe Recchi

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